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Mentre lavoravo a questa storia c'era uno scambio di vedute e molte chiacchiere teoriche nella mia casa di Bologna con Lorenzo Mattotti e Giorgio Carpinteri. Si vedeva il fumetto come un linguaggio che poteva unire diverse cose distanti. Nel mio caso, come ho detto, il tropicalismo e l'oriente, ma anche una mentalità geometrica e un senso di nostalgia, si stringevano la mano. In quei giorni ricordo che il mio amico e fotografo Daniele Lelli mi diceva che ogni volta che si trovava a meggere una puntata di Baobab sudava. L'ho sempre preso per un complimento. Era il caldo del Parador che trapassava le pagine stampate.