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14 settembre - Every day life

È arrivato settembre, torno a Parigi direttamente da Venezia, ove ero stato invitato in qualità di ospite e conferenziere, al 62° festival del cinema (bontà del genio di Marco Muller, uomo di lettere visioni e cinema; uno dei rari illuminati della cultura di oggi).

Parigi è autunnale, incerta, a tratti mostra i residui di un’ estate non veramente vissuta a pieno e poi ritorna buia e autunnale.
Venezia invece era calda e solare, e le piogge che pure la hanno rinfrescata avevano l’aria di quello che in realtà erano: acquazzoni estivi.

Il festival mi ha stordito, un vero circo. Pieno di bellezza (le donne, spesso vestite come conigliette di playboy; star e starlette tutte intente a interpretare lo stesso ruolo. E la città; bella, maestosa come sempre) e di vacuità (viene da pensare come cambierà il lido, una volta che i leoni di cartapesta saranno tornati a dormire in qualche antico palazzo che funge da deposito).

2 settembre. Arrivo, in treno e un “taxi acqueo”, mi aspetta sul molo di fronte alla stazione. Ho due valige enormi, sembrano i bauli di Sarah Bernhardt, solo che pesano trentadue volte tanto, dato che sono piene di libri. Facciamo una traversata rinfrescante, sono scombussolato da giorni di angoscia. Hanno operato Leila e questa estate non mi ha concesso riposo. Al principio facevo fatica ad accettare l’idea di venire al Festival, preso com’ero dal loop di ospedali e chiacchiere con medici e ancora ospedali. Poi, per fortuna, mi ci sono costretto.
Primo impatto con la città vista dal mare: fascino. Siamo diretti al Lido per un viaggio acquatico di una mezz’oretta. Cerco di prenderla come una vacanza anche se in realtà sarà un tour de force (ma questo l’igor che è appena sbarcato, ancora lo ignora).

Arrivo all’hotel des Bains. Gli orologi laggiù scandiscono il tempo più lentamente.

E io non ci metto molto a vivere una Venezia di altri tempi, ipnotizzato da questa bellezza antica. Enormi saloni e ampi corridoi mi portano a pensare a Thomas Mann e Visconti. Mi dico “chissà se Morte a Venezia” è stato girato qui. E poi, inevitabilmente arriva la conferma. Rimango attonito, in apnea per circa sedici ore con un sorriso fesso che mi increspa le labbra. Anche il mio cuore batte lentamente, adesso sono una foca o un leone marino. Sono emozionato perché risiedo all’interno di un mio mito.

Morte a Venezia, quanto ho amato questo film da ragazzo?

Dormo e faccio colazione negli ambienti che mi impressionarono tanto quando ancora ero un piccolo emigrato al nord e esploravo per le prime volte i miei sogni. A 18 anni ero ancora un autore in erba e quell’universo decadente di “ la morte a Venezia” adattato per lo schermo da Visconti mi aveva impressionato.

Le prime storie del Capitano Folon avevano certamente a che fare con il Dirk Bogarde che interpretava il film viscontiano. Le scene della spiaggia, poi, avevano impressionato la mia mente come la luce fa con la pellicola vergine conferendo una visione precisa di quella che sarebbe divenuta la prima versione del Parador.

Passeggio per la Hall dell’albergo e mi viene in contro Alena, amica, esperta di cinema, produttrice esecutiva. Questa russa parla l’italiano con una proprietà di linguaggio che mi stupisce continuamente. È bello vedere come la cultura arricchisce le persone. Mi fa pensare che si può ancora vivere in maniera non superficiale.

Arrivo in camera, do cinque euro di mancia al cameriere che mi guarda come gli avessi messo un topo morto tra le mani, abituato come sarà a mance astronomiche. Sarei tentato di riprendermi i cinque euro e liquidarlo con una pedata ma preferisco rimanere ipnotizzato.
Finalmente solo mi faccio una doccia. Cerco di riprendermi. Guardo dalla finestra e vedo il mare. Dentro la mia zucca sento Mahler, chissà perché.

Mi sembra di avere fatto un grande viaggio. In realtà la distanza tra Bologna e Venezia è di poche decine di km. Il vero viaggio che ho fatto è un altro, un viaggio nel tempo, nei miei ricordi, nella dimensione del sogno, nella terra in cui nascono le mie sceneggiature.

Il telefono comincia a trillare. A sorpresa mi dicono che è arrivato Kitano, si organizza un incontro fugace per permettermi di conoscerlo, dato che Mikiko, che lavora per l’office Kitano sa che amo il suo cinema.

Kitano, in barba al jet lag, arriva oggi e riparte domani; in tutto la sua permanenza a Venezia sarà meno di quanto trascorrerà in aereo per recarvisi (28 ore di viaggio). Stasera inoltre, a sorpresa e in concorso, ci sarà la proiezione di Takeshis’ (così, con il genitivo sassone sbagliato) che è l’ultimo film, appena terminato di Kitano.

Il film è una specie di “Otto e mezzo” versione Kitano, mi lascia perplesso. La sala applaude tiepidamente, in sala c’è Kitano e tutto il suo quartier generale. È strano vedere il film con il regista. È strano vedere il film al festival, ma tutto sommato divertente, permette alle cose una dimensione più umana.

Usciti decidiamo di andare a mangiare. Kitano non sono riuscito a incontralro perché è uscito in ritardo dalla sua camera all’Excelsior e si è precipitato all’auto che lo ha portato a fare la passerella.

Io, entrato da un ingresso laterale, sono in sala grande. Lui siede poco distante da me, è biondo, timidissimo, pieno di tic, un poco invecchiato.
Mikiko continua a scusarsi, alla giapponese, per non avermi ancora potuto presentare Kitano. Io dico che non importa, non muore nessuno. Poi ci dirigiamo a mangiare qualcosa, io ho soprattutto sete.

Quando ci stiamo per sedere viene fuori che siamo invitati al party di Kitano. Io non sapevo neppure che era previsto un party, da Wharol non ho imparato certamente la mondanità. Dove si svolge questo party? All piscina del Des Bains. OK, a casa dunque. Ci andiamo. Tanti tavoli e un bel bouffet. Ci si mette insieme a un gruppo di francesi dei “cahier du cinema”. Mentre origlio i giudizi sui film (Clooney medio, prevedibile, Kitano commovente) mi dico che devo smettere di leggere questa rivista inutile, poi vedo Bjork, piccoletta ed esibizionista. Ha un kimono argentato e le treccine. Non mi piace la sua musica e il suo atteggiamento artistico che trovo infantile. È al tavolo con Mattew Barney, suo marito, artista sopraffino nonché cineasta.
Non ho visto neppure un suo film.
Poi ci sono altre star e aspiranti tali che pascolano con il piatto in mano. Arriva Takeshi, applaudito. Io mangio una insalata di mare; Mikiko comincia ad agitarsi. Vuole adempiere alla missione: presentarmi Kitano. “Più tardi, finiamo di mangiare” dico.
Così parliamo e mangiamo, sono all’uva e Mikiko decide che è giunto il momento; saluto il grappolo con parole di circostanza.

Beat Takeshi parla. Con mia sopresa lo interrompiamo in una conversazione fitta che lo vede protagonista. Si alzano tutti, ri-saluto il produttore e stringo la mano alla star nipponica. Chiacchieriamo sorridendo. Beat Takeshi si scusa con me per il fatto che ha i capelli biondi. Gli do una pacca sulle spalle e gli dico che non importa, è sempre lui, e poi mi ricorda Zatoichi il protagonista del suo film, che ho molto amato. Gli dico che non sapevo che veniva e che non ho con me miei libri (Kitano sa che faccio il mangaka e voleva vedere qualcosa di mio) lui è molto gentile; dice che se li comprerà lui stesso. Scherziamo ancora un poco, gli dico che ho molte cose sue, che mi ha molto colpito il suo modo di girare. Secco e semplice ma mai banale.

Chiacchiere fugaci, non possiamo mica pianificare la rivoluzione cinematografica a cena. Ci si saluta ripromettendoci un incontro a Tokyo, impegni permettendo. Vorrei tornare ora al mio grappolo (che frattanto è stato attaccato dai miei vicini di tavolo e quindi grida “ aiuto” ) Mikiko si ferma a salutare un altro giapponese. Mi dice questo è Tsukamoto, io lo saluto e mi dico: “ non fare una gaffe delle tue. Lo vedi, è poco più di un bambino, non può essere il regista” . Lui mi guarda e mentre gli spiegano chi sono e cosa faccio mi chiede se ho mai visto un suo film. Mi sveglio all’improvviso e comprendo che si tratta di Shinya Tsukamoto, che è quello di Tettsuo, di Snake in June, Bullet Ballet, Tokyo Fist ecc. Gli dico che mi scuso che mi sembrava troppo giovane per essere un regista che ha fatto tanti film e lui mi dice che ha 46 anni, siamo dunque coetanei.

Ok, ho avuto la conferma, una voce nel mio cranio mi legge la notizia: “sei rimbambito” . Ancora non ho capito che due giorni dopo avrò una conferenza con lui e con Takashi Miike. Dopo avere assaggiato quel che resta della mia uva, saluto e mi congedo: è stata una lunga giornata fatta di viaggi nel tempo e di salti dimensionali. Andiamo a nanna, stanza 428. Domani mi aspettano altre sorprese.

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L'hotel Des Bains al principio del secolo scorso