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Too old to rock'n'roll, too young to die - Every day life
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Rhagu Rai fotografa la tragedia dimenticata di Bhopal. (Copyright dell'autore).

Ascolto la radio. Radio Città del capo, la mia vecchia radio di Bologna, in streaming, da Parigi. Mi rendo conto che emigrare ha i suoi aspetti lugubri. Ti ritrovi un carico di nostalgia per le cose che non credevi fossero penetrate così in profondità. Cose futili di tutti i giorni, abitudini di cose che di solito vivi soprapensiero. E istintivamente appare il ricordo di quando, guidando per andare alla redazione della coconino, osservavo, nel quartiere fiera, le decine di antenne paraboliche che gli immigrati nordafricani avevano puntato in direzione SUD. Io sono come loro, dato che a Parigi divido il mio tempo tra prodotti dell’etere made in france e quelli made in italy. Ascolto molti tg, per non perdere il passo e qualche trasmissione musicale (pijama party, alla domenica mattina, ottima).

Si vedono molte cose a distanza, di cui non mi rendevo conto stando in Italia. Molti tic della nostra cultura, molti aspetti provinciali. Può anche essere doloroso ma è bene aprire le finestre della tua testa e spalancare gli occhi alle nuove cose che capitano fuori da dove sei abituato a vivere. Altrimenti ci si impigrisce e chiude sempre più, è umano. Ma non aiuta a stare bene. Non aiuta a crescere.

Non smettere mai di imparare.

Hokusai nei suoi appunti diceva (cito a memoria) che a cinquant’anni aveva imparato a disegnare le foglie che cadono, a sessanta le mani, a settanta l’acqua, a ottanta le torsioni del capo e via dicendo. Ho visto la mostra di Hokusai, anni fa, a Milano. Fu una mostra che scioccò molti di noi autori di fumetto. Hokusai a 18 anni sapeva già disegnare come Picasso, ha pubblicato, nella sua vita, quasi duecento libri di disegni e vissuto quasi cent’anni; preso da una febbre di pittura e disegno che è stata la sua salvezza, la sua culla, il suo nutrimento, la sua lente per vedere il mondo.

Ne parlai una volta con Munoz, che mi descrisse esattamente come alla mattina Hokusai, si disponeva a disegnare, sul tavolo basso, davanti alla finestra, con i suoni del vento che sferzava la foresta di bamboo poco distante, gli odori di zuppa di miso che impreganavano la capanna con il tetto in paglia. Munoz aveva “ visto” Hokusai, aveva compreso dal disegno l’inclinazione del pennello, intuito il vuoto che si forma nella mentre per lasciare le immagini fluire sul foglio in maniera che l’astratto divenga concreto. Senza disegno logico di sorta (il mondo non è logico, l’uomo cerca di chiudere in questa gabbia ciò che sfugge per definizione). Munoz vedeva Hokusai come poteva vedere sé stesso, lo accomunava a lui una fratellanza dell’immagine, una visione selvaggia delle forme che si manifestano, tanto che ne parlava come di un amico.

Io avevo i capelli della nuca ritti nell’ascoltare cosa dal disegno passa dentro le nostre esistenze a distanza di secoli. Il tempo, davvero non esiste, probabilmente esiste un’intensità, che è il risultato diretto di una posa onesta.

Cosa lascerò dietro di me? Prego Dio ogni giorno perché non rimangano chiacchiere ma gesti, cose concrete. Che il tempo le eroda lentamente, lasciando la possibilità di poterle rileggere, se mai lo meriterò, a distanza di decenni. Trascorro il mio tempo a essiccare, asciugare se possibile, ciò che faccio, per arrivare all’essenza. Cambiare prospettiva rispetto alle visioni piccole e molto terrene dell’occidente. Sapere vedere in prospettiva il proprio esistere, il proprio fare. Una prospettiva meno fugace e meno stitica.

Che tenga conto dell’esistenza fuori da noi.
I dinosauri hanno abitato la terra 70 milioni di anni fa. ( Settanta milioni! Non riesco a quantificare neppure quante vite come la mia sono passate da quando l’ultimo brontosauro ha calpestato il suolo su cui probabilmente io stesso ho messo piede, ignaro, milioni di anni dopo.)

Qualche mese fa parlavo con Spiegelman, lui sosteneva il fatto che il nostro è un mestiere da “giovani” e che, invecchiando, fatalmente, si peggiora. Io non ho mai pensato in termini di rock’n’roll per il fumetto. E non credo di condividere queto genere di osservazioni. Mi sembrano prive di prospettiva e generiche.

Il sessantesimo anno di vita rappresenta nella tradizione giapponese un periodo fondamentale, in quanto si compie un ciclo completo dei segni zodiacali.

E’ vero che invecchiando quasi sempre si peggiora? Gli ho detto: “andiamo, non crederai sul serio a queste cose?”.
E lui mi ha chiesto chi, a mio avviso, invecchiando faceva un lavoro migliore di quando era giovane. Dovevo fare dei nomi. Con Spiegelman non si scherza è uno che conduce i discorsi in profondità. Scava. Oggi potrei dire, Crumb, Hokusai, Clint Eastwood, Oliver Sax e diversi altri nomi. Ma nel corso della conversazione mi venne in mente solo Eisner. Così gli dissi che Eisner aveva inventato un approccio geniale al suo lavoro, da anziano, invece che andarsene in pensione a rimuginare sui suoi fasti passati si era rimboccato le maniche e aveva inventato una nuova scrittura. Spiegelman non era del tutto d’accordo. Penso che preferisse di gran lunga Spirit alle graphic novel che Will Eisner confezionava nella sua nuova vita di narratore. Ma questo non è molto importante al fine del discorso. Questione di prospettive, senza dubbio.

Oriente e occidente. Asia, Europa. Io nuoto tra questi due continenti. Ho visto da poco delle immagini stupefacenti di un grande uomo: si chiama Rhagu Rai ed è uno dei più grandi fotografi viventi. Un indiano che fa parte dell’agenzia Magnum fondata da Robert Capa. Le sue immagini sono terribili, si occupano di miseria e sofferenza, spesso. Eppure traspare una bellezza inaudita che ha un segreto.

Quello che passa è il senso di “nobiltà del vivere”, un rispetto della vita che viene sintetizzato dal suo motto: “salvaguardare sempre la dignità dell’uomo”. Penso al voyerismo e alla volgarità della nostra civiltà dell’immagine e capisco subito la differenza. Quest’uomo comprende la bellezza e riesce a trasmetterla semplicemente perché la bellezza per lui non è mera forma, non è lo sguardo superficiale e del tutto esteriore di questo mondo patinato e tele-appiattito. Ha dichiarato una cosa; in una frase il suo metodo: per lui l’essenziale, quando scatta una foto, sta nel determinare precisamente la distanza tra il soggetto e il suo obbiettivo.

Tutto qui. C’è l’essenza di un grande artista, sia esso narratore per segni, immagini o sequenze.

Domenica 17 aprile. Sempre Parigi.